IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza a seguito  delle  osservazioni
 presentate  dal  p.m. all'udienza del 3 novembre 1997, in ordine alle
 modifiche introdotte all'art. 513 c.p.p.  dalla  legge  n.  267/1997,
 prospettanti  il  dubbio di illegittimita' costituzionale della norma
 in esame per contrasto con  gli  artt.  3  e  24  Cost.    Sulla  non
 manifesta infondatezza della sollevata questione
   Il  p.m.  ha  fornito  una interpretazione della nuova formulazione
 dell'art. 513 c.p.p., che pare, a questo giudice, condivisibile.
   In effetti, la legge n.  267/1997  ha  sostanzialmente  sancito  la
 inutilizzabilita'  processuale  delle dichiarazioni comunque rese nei
 confronti di terzi al di fuori del dibattimento:  sia  nei  confronti
 dei  soggetti  indicati dall'art. 210 c.p.p., sia nei confronti degli
 stessi coimputati.
   La nuova norma - all'ultimo  comma  -  fa  salve  le  dichiarazioni
 assunte  in sede di incidente probatorio, perche' rese nell'effettivo
 contraddittorio  e  alla  presenza  della  persona  sottoposta   alle
 indagini e alla persona offesa (art. 401, comma 3, c.p.p.). Peraltro,
 decisamente  poco  comprensibile  appare la scelta del legislatore di
 non includere anche le dichiarazioni rese davanti il  g.u.p.,  specie
 allorche'  - come consente la nuova formulazione dell'art. 421, comma
 2, c.p.p. - l'interrogatorio  dell'imputato  sia  effettuato  con  la
 cross examination.
   Puo'   discutersi   dell'opportunita'   di   una   siffatta  norma,
 probabilmente -  come  sempre  piu'  spesso  accade  -  dettata  piu'
 dall'onda  emotiva del momento che da una ragionata logica giuridica:
 basti ricordare i clamorosi  interventi  della  Corte  costituzionale
 sugli  artt.  500  e 503 c.p.p., cui hanno fatto immediato seguito le
 modifiche introdotte con la legge n. 356/1992.
   Ma - indubbiamente - non puo' che prendersi  atto  di  una  precisa
 indicazione  del  legislatore:  ovvero, che l'atto confessorio - reso
 senza particolari formalita' di assunzione oltre quelle  ordinarie  -
 puo'  assumere valore di prova nei confronti del solo confidente; nei
 confronti dei terzi, invece, l'efficacia probatoria consegue  solo  a
 un effettivo confronto diretto, nel quale possa interloquire anche il
 "chiamato".
   Ed  e'  inevitabile  che  tutto  cio' comporti modifica anche delle
 strategie dell'accusa: come sottolineato dal p.m., nei confronti  dei
 "chiamanti"   il   consenso   ai   riti  alternativi  (nella  specie,
 all'udienza  preliminare)  sara'  negato  fino  a  quando  non  venga
 effettuato  -  con esito positivo - l'incidente probatorio: evenienza
 inevitabile per scongiurare il pericolo di "dispersione della prova",
 indicazione piu' volte fornita - come ha correttamente  osservato  il
 p.m. - dalla stessa Corte costituzionale.
   Un  analogo  problema  non sussistera', al contrario, per chi sara'
 chiamato in correita', che - pertanto - potra' liberamente  scegliere
 la  propria strategia difensiva: accedendo (ovviamente, sussistendone
 i presupposti) ai riti alternativi per  preliminarmente  definire  la
 propria  posizione, ovvero attendendo il confronto dibattimentale ben
 conscio della evidenziata inutilizzabilita'.
   In definitiva, la nuova formulazione dell'art. 513, c.p.p.,  limita
 fortemente il diritto alla difesa del chiamante in correita', diritto
 inteso  come  liberta'  di  autonomamente  decidere  la propria linea
 processuale:  in tal senso deve proporsi la questione di legittimita'
 costituzionale.
   Tale situazione e' - inoltre - esasperata nel regime transitorio  e
 con  specifico  riferimento all'udienza preliminare, posto che l'art.
 6, comma 1, legge n. 267/1997 non  tiene  assolutamente  conto  delle
 possibili  differenze  di esito processuale per ciascun imputato: chi
 con posizione definita con applicazione pena o rito  abbreviato,  chi
 prosciolto, chi - invece - rinviato a giudizio.
   Sostanzialmente, nel passaggio tra vecchio e nuovo 513, di fatto le
 situazioni    piu'    discutibili   -   come   tali   tacciabili   di
 incostituzionalita'  -  si  verificheranno  proprio   nelle   udienze
 preliminari  in  corso ovvero appena concluse, laddove uno o piu' tra
 gli imputati (e, in  specie,  alcuno  tra  i  chiamanti)  abbia  gia'
 definito la propria posizione:  come e' nel caso di specie, di cui si
 dira'.
   Non  senza  sottovalutare come proprio quei processi resi possibili
 dalle dichiarazioni dei correi (la criminalita' organizzata  e'  solo
 l'aspetto  di  maggiore  impatto  sociale)  sempre piu' difficilmente
 giungeranno a conclusione, per l'indubbio concreto aumentato pericolo
 di pressioni e minacce o, comunque, per il  timore  di  un  confronto
 diretto.  Sulla rilevanza della questione in giudizio
   Assolutamente  indubbia  appare  la  rilevanza  della questione nel
 procedimento in corso.
   L'imputato Furia Massimo  ha,  infatti,  patteggiato  la  pena  con
 sentenza  n.  54  del  9  luglio  1997,  passata  in  giudicato il 24
 settembre 1997, e, pertanto, e' stato estromesso dal procedimento.
   In punto, si fa presente che il p.m. ha comunque chiesto procedersi
 con incidente probatorio all'esame dei  chiamanti  in  correita':  lo
 stesso  p.m.  ha informato questo giudice che il difensore di fiducia
 del predetto Furia ha  fatto  presente  che  non  e'  intenzione  del
 proprio  assistito partecipare all'eventuale incidente probatorio, in
 quanto non piu'  interessato  al  procedimento,  ne'  a  ribadire  le
 proprie chiamate di correo.
   In   ogni  caso,  e'  gia'  in  atto  una  evidente  disparita'  di
 trattamento, posto che, a  fronte  della  posizione  del  Furia  gia'
 definita  (e,  si  badi, proprio per la pregnanza delle dichiarazioni
 rese, egli ha fruito dell'attenuante di cui all'art. 73  u.c.  d.P.R.
 n.  309/1990),  il  p.m.  non  ha prestato consenso al patteggiamento
 richiesto da Mentil Roberto, Zanellati Serenella e Novara Loris posto
 che "sulle dichiarazioni degli indagati e le loro chiamate di  correo
 si fonda in prevalenza l'accusa mossa da questo ufficio nei confronti
 di  altri  co-indagati,  e  che  vi  e'  rilevante  pericolo,  ove la
 richiesta di applicazione della pena venisse accolta in questa  sede,
 di  dispersione  della  predetta  prova, in quanto gli stessi Mentil,
 Zanellati e Novara  potrebbero  non  essere  disposti  a  partecipare
 all'incidente  probatorio  di cui questo ufficio intende avvalersi in
 sede  di  udienza  preliminare  ai  sensi  dell'art.   392,   c.p.p.,
 modificato  dall'art.  4  in rel. all'art.   2, legge n. 267/1997 e a
 confermare le loro accuse, con completa inutilizzazione di quanto fin
 qui da loro riferito".